La mobilità condivisa va bene per il traffico e per l’ambiente, ma è ancora troppo costosa. È quanto emerge da una ricerca realizzata dalla Fondazione Filippo Caracciolo di ACI e presentata in occasione dell’Executive Master in Circular Economy Management della Luiss il cui modulo Smart Mobility è coordinato dal professor Fabio Orecchini.
Sotto gli 8.000 km l’anno la condivisione conviene
Secondo lo studio infatti ogni spostamento urbano costa 4,5 euro in scooter sharing, 7,2 euro in car sharing 11,9 euro in taxi. Una bella differenza rispetto agli 1,5 euro per costo del biglietto per il trasporto urbano a Roma. Se quest’ultima non imponesse un’attesa media di 20 minuti, sarebbe la soluzione migliore. A queste condizioni, la mobilità pubblica e condivisa conviene solo se si percorrono meno di 8.000 km all’anno.
Secondo lo studio ogni spostamento urbano costa 4,5 euro in scooter sharing, 7,2 euro in car sharing 11,9 euro in taxi. Una bella differenza rispetto agli 1,5 euro per costo del biglietto per il trasporto urbano a Roma
Il ritorno all’auto di proprietà
Questi numeri derivano dai dati forniti dagli operatori della mobilità condivisa, dal PRA, dalle statistiche ACI-Istat sugli incidenti stradali e dalle scatole nere installate sui veicoli. L’automobile di proprietà costa mediamente 3.926 euro all’anno, il suo utilizzo è cresciuto durante la pandemia da Covid-19 eppure è economicamente la più conveniente, se si calcolano soltanto i costi diretti.
Il fattore parcheggio
Il ragionamento cambia se si considerano i costi indiretti derivanti da una mobilità inefficiente. Taxi e scooter sharing sono infatti i più veloci (velocità media di 19 km/h) poiché non hanno problemi di parcheggio. Per il car sharing invece la ricerca di uno spazio per posteggiare copre fino al 30% ed oltre il tempo complessivo di trasferimento. Fattore che influenza pesantemente il bilancio delle emissioni.
L’incentivazione della mobilità condivisa
Per rendere allora più conveniente la mobilità condivisa occorrerebbe ridurre il costo del car sharing almeno del 15% e del 10% i tempi di percorrenza del taxi. Questo grazie alla diminuzione del traffico e all’aumento delle corsie preferenziali. In questo caso, la soglia di convenienza dell’auto di proprietà si alzerebbe a 11.000 km, dunque oltre la media di percorrenza media annua.
I benefici potenziali per il dopo Covid-19
Facendo la somma di tutti i benefici, le famiglie potrebbero risparmiare tra i 390 e i 935 euro all’anno. Questo però sarebbe possibile solo con una politica di incentivazione pubblica. Ma questa è una prospettiva fattibile per il dopo Covid-19? Va detto che già nel 2019 si è assistito ad un consolidamento del car sharing in Italia con un calo degli utenti attivi del 30% e una crescente segmentazione dell’utilizzo.
Un fenomeno già in consolidamento
Gli iscritti, come segnala l’Aniasa, sono circa 2,2 milioni formato da strati di utenza ben precisi che vanno dai “curiosi” ai saltuari fino agli utilizzatori fidelizzati. Fino al 2019 erano rimasti costanti sia il numero di noleggi (11,7 milioni) sia la flotta (circa 6.300 veicoli). Crescevano invece la durata (da 28 a 32 minuti) e le percorrenze (da 6,8 a 7,4 km), con un abbassamento della velocità media (da 4, a 4,3 km al minuto).
La mannaia della pandemia
Il profilo dell’utente è fondamentalmente maschio (65%) e al di sotto dei 36 anni (68%), utilizza il servizio prevalentemente tra le ore 16 e 19, lo evita dalla 7 alle 9, quando cioè il pendolarismo in ingresso rende più lento il traffico. In tempo di pandemia, l’utilizzo e il fatturato del car sharing è si è ridotto di tre quarti nel corso del lockdown nazionale tornando ad un -50% successivamente.
Un’opinione condivisa
La paura del contagio accompagna l’incentivazione alle nuove forme più “aerate” come il monopattino elettrico e la bici assistita. Tutti sono comunque d’accordo sul ruolo che la mobilità condivisa può avere per il dopo-pandemia. Anche il rapporto Isfort in collaborazione con il Cnel e il Ministero delle Infrastrutture e Trasporti è d’accordo su questo punto. Vale però osservare però il fenomeno carsharing come business case. Da questo punto di vista emerge chiaramente la sua problematicità.
I limiti del modello di business
Il primo punto è la sua applicabilità solo in città e aree metropolitane di una certa grandezza, il secondo è la sua sostenibilità economica, non certo facile. Anche BMW e Daimler stanno mollando la presa. Dopo aver fuso Share Now e Car2Go in DriveNow, si sono prima ritirati dagli USA e ora hanno messo ufficialmente in vendita parte dei loro servizi di mobilità tra cui il car sharing che nel frattempo avevano integrato con altri come Free Now.
Il cavallo di Troia di Uber
Proprio per quest’ultimo sembra che vi sia un’offerta da parte di Uber per 1,2 miliardi di dollari. Tale mossa farebbe parte del piano di conquista dell’Europa. Il gigante di San Francisco ha infatti trovato fortissime resistenze a ogni livello e, dopo l’attacco frontale, sta provando l’accerchiamento elettrificando la flotta e appropriandosi di gestori che ritiene di poter gestire in modo efficiente.
Leggi l’articolo sul piano di elettrificazione di Uber per l’Europa
Facile dire: facciamo mobilità…
Un punto che ribadisce la difficoltà da parte dei costruttori nel diventare fornitori di mobilità. Pone anche interrogativi su come potrebbe svilupparsi un servizio pubblico di mobilità condivisa in grado davvero di incidere sulla massa critica dei comportamenti. In modo da rendere il sistema più efficiente nel suo complesso e più conveniente per l’utilizzatore.