Di Mario Cianflone – Giornalista del Sole 24 Ore
Perché ci piace l’ibrido plug-in?
La risposta è semplice: è un compromesso accettabile, una soluzione intelligente che abbina il meglio di due mondi, anzi di tre visto che le auto PHEV, alias plug-in hybrid electric vehicle, sono tre macchine in una. Una ibrida classica dove l’elettrico aiuta il termico, una auto a batteria a corto raggio, circa 50 km, per muoversi in città senza inquinare (parliamo di polveri ed NOx, non di CO2) e una vettura benzina o turbodiesel che viaggia ovunque, consuma poco e non fa venire patemi da range anxiety come le elettriche.
E in questo ultimo ambito stiamo aspettando le reali autonomie sul campo delle compatte di nuova generazione come le gemelle diverse Peugeot 208 ed Opel Corsa in edizione EV.
Le plug-in in hybrid, inoltre, convincono per un’altro punto che afferisce al loro impatto industriale. Non sono disruptive come le elettriche pure che per la loro natura di auto semplici desertificano la filiera vaporizzando posti di lavoro.
Le PHEV, invece, mantengono, anzi aumentano, la complessità costruttiva garantendo la sopravvivenza di aziende di componenti e dei loro lavoratori.
Insomma, sembrano essere il ponte perfetto verso il lontano futuro full electric.
Peccato per il prezzo. Costano davvero care. Forse troppo.
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