Per l’idrogeno c’è un altro futuro: non solo come vettore energetico, ma anche come combustibile. Ad affermarlo è proprio chi ha sempre promosso e difeso l’idrogeno nella prima variante ovvero la Toyota. La casa giapponese ha infatti sviluppato un 3 cilindri 1.6 che brucia idrogeno al posto della benzina.
Dalla Yaris con furore
È derivato da quello della GR Yaris, il 3 cilindri più potente al mondo con i suoi 261 cv. Sarà montato sulla Corolla Sport del team ORC Rookie Racing che partecipa al Super Taikyu Series 2021. Il debutto avverrà alla Fuji Super TEC 24 Hours Race prevista per il 21-23 maggio.
Idrogeno verde giapponese
L’idrogeno utilizzato sarà prodotto al Fukushima Hydrogen Energy Research Field di Namie Town, il più grande impianto al mondo per la produzione di idrogeno verde. Ha tutte le caratteristiche che deve avere l’idrogeno come vettore: 20 MW di pannelli solari installati e interazione con la rete per produrre idrogeno da elettrolisi o, alla bisogna, sfruttarlo per produrre energia attraverso celle a combustibile.
Dalla BMW in poi
L’utilizzo dell’idrogeno come combustibile in un motore a combustione interna non è una novità. La BMW fu il costruttore a provarci più convintamente, ma quando nel 2013 stabilì un accordo di collaborazione con Toyota che riguardava le fuel cell, a tutti sembrò la vittoria definitiva dell’idrogeno come vettore.
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Prima venne l’idrogeno
Molti non sanno anzi che il primo motore a combustione interna fu proprio ad idrogeno. Lo brevettò Francois Isaac De Rivaz nel 1807 ed era lineare, dunque non a moto alternato, privo di biella e albero a gomiti. De Rivaz nel 1813 lo applicò ad un carro che trasformava il moto lineare di un pistone in moto rotatorio.
Ascesa mancata
Ogni scoppio del grande stantuffo (1,5 metri di corsa per 97 mm di diametro) faceva muovere di 6 metri il grand char mécanique di De Rivaz. Questo veicolo riuscì a trasportare il proprio peso (circa una tonnellata) più 300 kg di sassi e legna e 4 uomini per 26 metri su un tratto in salita di 9 gradi alla velocità di 3 km/h.
La Ford per berline e commerciali
Ha provato a bruciare idrogeno anche la Ford. A Dearborn lo provarono nel 2003 in un motore a pistoni 2 litri sulla P2000, una vettura laboratorio derivata da una Taurus. Il pick-up F250 concept e il mini bus E-450 montavano un V10 sovralimentato con compressore volumetrico funzionante anche a benzina o a etanolo.
In pista con l’Aston Martin
Altro tentativo illustre fu quello di Aston Martin che nel 2013 realizzò una Rapide in collaborazione con l’austriaca Alset. Il V12 6 litri, a differenza del motore di origine, aveva due piccoli turbocompressori e i 3,23 kg di idrogeno contenuti nei suo serbatoi in alluminio e composito erano sufficienti per 250 km.
Come salvare le supercar
Oppure 10 giri del Nürburgring. La Rapide a idrogeno debutto proprio alla 24 Ore che si corre sul famoso circuito tedesco arrivano 114ma. Il costruttore britannico non voleva puntare all’autonomia, ma dimostrare che l’idrogeno era per le supercar il modo per osservare le future normative anti inquinamento.
Mazda è l’ossessione Wankel
Anche la Mazda prese l’idrogeno per farne combustibile in una duplice chiave, ma con un solo obiettivo: dare ancora un senso al motore rotativo, antico cavallo di battaglia della casa di Hiroshima. Il primo esempio è stato il concept HR-X, presentato al Salone di Tokyo del 1991 seguito dalla HR-X2 del 1993.
A trazione rotativa
In questo caso si trattava di un birotore che fungeva da motore di trazione che poi fu sperimentato sulla MX-5, sulla Premacy (alias Mazda5), la Capella (antenata della 626 e della Mazda6) e anche sulla sportiva RX-8. In questo caso il motore poteva bruciare benzina o idrogeno.
Servo dell’elettrificazione
La seconda chiave dell’idrogeno secondo Mazda fu quella elettrificata. La Premacy la sperimentò in due declinazioni: una era una full-hybrid parallela, l’altra a metà strada tra un’ibrida plug-in in serie. In questo caso il birotore forniva energia elettrica e ricaricava una piccola batteria tampone comunque ricaricabile.
Via il carbonio
Ma perché fare dell’idrogeno un combustibile invece che un vettore energetico? Qualche vantaggio c’è. Il primo è la semplicità di poter partire dai motori a pistoni. Il secondo è di non emettere composti del carbonio (CO, CO2 e HCO). Tracce sono presenti solo per la presenza di olio per la lubrificazione.
Stechiometria avanzata
Il motore a idrogeno emette vapore acqueo (come in ogni processo di combustione) e anche NOx perché respira ossigeno dall’atmosfera che contiene anche azoto. Il quantitativo però è minimo perché il motore ad idrogeno utilizza miscele magrissime: teoricamente si va da 34:1 fino a 1:180 contro l’1:14,7 stechiometrico della benzina.
Fiammate d’efficienza
L’accendibilità e diffusività elevate, oltre al numero di ottano di oltre 120, permettono di utilizzare sistemi di accensione che consumano il 20% in meno di energia senza possibilità di battito in testa o mancate accensioni. Anche la combustione estremamente veloce (fino a 8 volte di più) è un fattore positivo di efficienza.
La questione della coperta
La Toyota dice di aver modificato solo il sistema di alimentazione, ma è impossibile che si sia limitata solo a questo. L’idrogeno, essendo un gas, ha un potere lubrificante nullo. In più le valvole e i segmenti hanno problemi di tenuta. È il rovescio della medaglia della diffusività, ottima invece per la combustione.
Tanto volume e poca massa
Il problema fondamentale dell’idrogeno è l’enorme disparità tra il rapporto energia/massa e quello energia/volume. Così si possono utilizzare rapporti di compressione elevati e, grazie all’elevata accendibilità, aumentare i regimi di rotazione, ma l’esperienza dimostra che le potenze sono ridotte.
Potenza, risposta e resistenza
La Toyota non ha dichiarato i dati, ma punta a raggiungere gli stessi livelli del motore a benzina. Nettamente superiore è invece la risposta all’acceleratore. Aspetto cruciale è la temperatura elevata di combustione che influenza potenzialmente le emissioni di ossido d’azoto e risulta critica per la resistenza meccanica e dei materiali.
Metti qui, togli lì
Oltre a questo c’è il fattore integrazione. Un motore a idrogeno ha bisogno di serbatoi che pesano e di forma prefissata che occupano spazio. Sono inoltre necessari più componenti per l’alimentazione, ma non ha bisogno di sistemi di post trattamento per composti del carbonio, dell’azoto (forse) e per il particolato.
Le regole dell’efficienza
Altro fattore critico è il rendimento. Estrarre dall’idrogeno energia termica invece che chimica facendola produrre da un motore a moto alternato invece che rotante non appare come la cosa migliore. Un motore che genera moto rotante solo con parti rotanti è naturalmente più efficiente.
Potenziale teorico da F1
Eppure un potenziale c’è. Mentre presentava i suoi studi, BMW sosteneva che la Formula 1 del futuro sarebbe stata ad idrogeno. Paradossalmente, oggi questa prospettiva è presa in considerazione per rendere ad emissioni zero la massima categoria del motorsport mantenendo gli elementi emozionali classici come il rumore.
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Il motore delle emozioni
Con ogni probabilità c’è anche questa tra le motivazioni che hanno spinto la Toyota a sviluppare un motore a pistoni alimentato ad idrogeno. Non bisogna credere ad una conversione improvvisa, ma ad un calcolo di comunicazione e di immagine ben preciso, che ha radici profonde e guarda molto lontano.
Muoversi e divertirsi
Nella filosofia di Toyota infatti la mobilità, per offrire felicità e coinvolgimento, deve contemperare elementi sia razionali, come l’accessibilità e la praticità, sia emozionali. Da qui l’esigenza del costruttore giapponese di premere sull’elettrificazione e, allo stesso tempo, sulle auto sportive e sulle competizioni.
Nella filosofia di Toyota infatti la mobilità, per offrire felicità e coinvolgimento, deve contemperare elementi sia razionali, come l’accessibilità e la praticità, sia emozionali
La Yaris come simbolo
Da questo punto di vista, la Yaris è il prodotto perfetto: è l’auto senza spina con le emissioni più basse e, allo stesso tempo, la versione sportiva più vicina ad un’auto da competizione capace di vincere campionati mondiali di rally. E non è un caso che il motore a idrogeno Toyota provenga proprio da una Yaris.
Spingere l’idrogeno
L’obiettivo di Toyota è dimostrare la flessibilità dell’idrogeno e farlo diventare un fenomeno “mainstream”, favorendone l’accettazione e abbattendo alcuni dei pregiudizi che lo accompagnano. Calarlo nelle competizioni servirebbe a renderlo più umano e meno alieno dal cuore degli automobilisti.
La scalata dei costi
L’idrogeno bruciato nei pistoni ha altri due potenziali effetti positivi. Permetterebbe a Toyota di usare le conoscenze su serbatoi e sistemi di rifornimento abbassandone il costo, a vantaggio anche delle auto fuel cell. Infine spingerebbe la produzione dell’idrogeno, anche in questo caso con benefici sulle economie di scala.
Non solo fuel cell
Ma c’è anche un’altra prospettiva affascinante attraverso cui guardare la mossa di Toyota. Se, come ha sempre sostenuto, le fuel cell, sono l’ultima frontiera della mobilità, una parte della cosiddetta “società dell’idrogeno” potrebbe essere composta da auto ad idrogeno a pistoni. Per ora dunque, si prova in pista, poi chissà… Intanto ascoltiamo il primo vagito del motore a idrogeno di Toyota