La Volvo XC60 Recharge, versione ibrida ricaricabile del Suv medio-grande del marchio svedese, è il modello che scelgo di testare durante una trasferta di lavoro di alcuni giorni.
Devo essere a Bolzano una settimana per tenere il mio corso di “Electric and hybrid Mobility’ nell’ambito della Summer School della Laurea Magistrale in Ingegneria Energetica della Libera Università di Bolzano.
Visto il titolo del corso, è piuttosto logico che scelga di recarmi in Alto Adige da Roma a bordo di un modello ibrido-elettrico, realizzando un viaggio come quelli che in tanti stanno facendo proprio in questo periodo per andare in vacanza con la famiglia in automobile.
Iniziamo dalle critiche
Conosco benissimo tutte le critiche che vengono mosse alla tecnologia ibrida ricaricabile, soprattutto da chi ritiene che l’unica soluzione possibile per traghettare l’automobile verso il futuro sia l’auto esclusivamente elettrica a batterie, fin da subito e per tutti.
Avere due motori a bordo, secondo questa posizione, è uno spreco da ogni punto di vista.
- Troppa massa, con batterie ed elementi elettrici che si vanno ad aggiungere al motore a combustione interna e a tutti i suoi componenti meccanici.
- Poca autonomia in elettrico, che rischia di far accendere troppo spesso il motore a benzina vanificando in pochi secondi l’operazione di ricarica elettrica delle batterie svolta dal guidatore.
- Utilizzo a batterie scariche, con accumulatori e componenti elettrici trasformati in fardelli dannosi all’efficienza, dopo che il veicolo è stato invece acquistato (a volte con incentivi statali e locali) per le sue caratteristiche di abbattimento dei consumi e delle emissioni registrate in fase di omologazione.
Guardiamo ai fatti
Nei fatti, però, se si utilizza correttamente la tecnologia, come capita a me quando guido un’ibrida plug-in e come dovrebbe essere per tutti, il difetto principale – cioè l’utilizzo regolare dell’auto a batterie scariche – non si manifesta mai.
La massa in più rispetto a un’auto esclusivamente termica c’è, questo è vero. Ma per modelli ben progettati non è così esagerata perchè il motore a combustione interna, pur per modelli dalle prestazioni esuberanti in termini di potenza massima e coppia, può essere ridimensionato rispetto a versioni solo termiche.
La Volvo XC60 Recharge della mia prova garantisce una potenza massima di 335 kW (455 cavalli, per chi ancora ragiona in quadrupedi) e 709 Nm di coppia massima con velocità massima autolimitata a 180 km/h. Capacità di traino (non secondaria per auto da viaggio familiare) di 2.400 kg e 100 kg di carico possibile sul tetto. Con 262 litri di capacità di carico del bagagliaio a sedili tutti sollevati, che possono arrivare a 1.816 litri abbassando i sedili posteriori.
Le mie considerazioni
La Volvo avrà a listino soltanto modelli elettrici dal 2030. Tutte le auto dovranno essere ad emissioni zero di CO2 in Europa dal 2035.
Ma queste sono semplicemente politiche industriali di marchio e normative comunitarie.
Per me conta soprattutto il fatto che dobbiamo rendere il più velocemente possibile a basse emissioni il parco auto circolante e arrivare prima possibile alle zero emissioni. Questo è l’unico obiettivo che ci garantisca di poter continuare a generare benessere attraverso le nostre attività socio-economiche in armonia con la natura.
Non sono un patito di una tecnologia. Secondo me, visto il mestiere che ho scelto e che amo, non devo esserlo.
Ruolo dell’ibrido plug-in
La Volvo XC60 Recharge ibrida plug-in mi ha permesso di arrivare da Roma a Bolzano, non un viaggetto quindi, in sei ore e mezza con una sola sosta carburante. Grazie a questa sosta, sono arrivato a Bolzano con oltre 280 chilometri di autonomia residua del motore a benzina, che mi hanno consentito di cercare tranquillamente un punto di ricarica per riportare al 100% le batterie e riguadagnare più di 60 chilometri di autonomia in modalità zero emissioni.
Gli spostamenti a Bolzano e dintorni, così facendo, sono stati tutti a zero emissioni. Questo nonostante il parcheggio dell’alloggio non avesse possibilità di ricarica.
La mia unica insoddisfazione, quindi, è stata proprio relativa al parcheggio senza colonnine, al quale ho scritto di dotarsi prima possibile di punti di ricarica.
Contribuendo così, nonostante non fossi a bordo di un’elettrica pura, a “spingere” per la crescita di un’infrastruttura di ricarica distribuita, accessibile e capillare.
Non dobbiamo dimenticare che l’altra possibilità, per chi non ha le condizioni oppure non si sente pronto all’auto esclusivamente elettrica, è un’auto senza spina.
E chi ha un’auto senza spina non ha motivi pratici per chiedere punti di ricarica, nè per dotarsene a casa o al lavoro.
Chi critica l’auto plug-in hybrid, quindi, rischia di far male all’auto elettrica.