La Shell è stata condannata ad anticipare i propri obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2 dalla corte distrettuale dell’Aia dando così ragione alla Milieudefensie, organizzazione ambientalista olandese, insieme ad altre 6 (Action Aid Netherlands, Both ENDS, Fossil Free Netherlands, Greenpeace Netherlands, Young Friends of The Earth Netherlands e Waddenvereniging) e 17mila cittadini olandesi.
Procedimento avviato nel 2018
Il contenzioso era stato formalizzato nel 2018 sulla base di un rapporto di Carbon Major Database. Secondo quest’ultimo, La multinazionale anglo-olandese sarebbe la 9^ azienda al mondo responsabile per le emissioni di CO2 tra il 1988 e il 2015. Ad essa andrebbe ricondotto l’1% di tutta l’anidride carbonica di origine fossile.
La sentenza di primo grado, emessa dal giudice Larisa Alwin, stabilisce che la politica sul clima della Shell è priva di elementi di concretezza. La società energetica ha annunciato di voler tagliare le emissioni di CO2 rispetto al 2019 del 6% nel 2023, del 20% nel 2030, del 45% nel 2035 e del 100% nel 2050.
CO2 -45% entro il 2030
Il tribunale dell’Aia invece ha condannato la Shell a tagliare la CO2 del 45% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2019. La società ha dichiarato di aver raggiunto il picco di emissioni nel 2018. Dunque il nuovo termine sarebbe teoricamente un vantaggio, ma la corte ha anticipato il limite fissato per il 2035 di cinque anni.
Ci sono altri elementi degni di nota. Il primo è che Shell è ritenuta responsabile delle proprie emissioni, ma anche di quelle dei suoi fornitori e dei suoi clienti. Il secondo è che le emissioni rappresentano una sorta di crimine generazionale perché minacciano il diritto alla vita e al rispetto della vita privata e famigliare.
La portata della sentenza
A questi ultimi due aspetti fanno riferimento l’articolo 2 e 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Dunque il tribunale stabilisce una correlazione diretta tra inquinamento, emissioni e i diritti umani fondamentali. Ne consegue che la tutela di questi aspetti non è accessoria per le imprese.
Si tratta dunque di una sentenza storica e che potrebbe avere una portata enorme. Fa riferimento infatti ad una fonte di diritto sovrannazionale. Di contro, non si basa su alcuna legge esistente olandese, ma riguarda una multinazionale che opera in ogni angolo del mondo e nel 2020 ha fatturato oltre 180 miliardi di dollari.
Limiti di ambito e di azione
La sentenza è immediatamente esecutiva, ma non stabilisce alcune pena né gli strumenti per ridurre la CO2. Se la Shell decidesse di continuare la propria politica di riduzione delle emissioni che cosa accadrebbe? Dunque è lecito chiedersi quale sia la sua reale efficacia e in quale ambito territoriale si eserciti.
Le società non hanno alcun obbligo formale di riduzione della CO2 e gli obiettivi in merito rispondono a criteri economici, di immagine e di bilancio che influenzano direttamente il patrimonio attraverso le quotazioni azionarie. Dunque, si può obbligare una singola azienda a ridurre la propria CO2?
Per gli ambientalisti è una svolta
Le associazioni ambientaliste salutano la sentenza come una svolta epocale. La Shell con una nota risponde che sta investendo miliardi di dollari nella transizione ecologica, fa una lista di tutte le proprie attività e ribadisce che i propri obiettivi sono quelli dell’intera società: l’azzeramento della CO2 entro il 2050.
La Shell afferma che lavorerà per rispettare la sentenza ma, allo stesso, tempo farà appello. Sarà interessante vedere quali argomenti saranno messi in campo, non solo giuridicamente, ma anche per fronteggiare l’opinione pubblica, tutelando i propri diritti, ma senza danneggiare la propria immagine.
Un nuovo precedente per altri paesi
Occorrerà vedere se tale sentenza costituirà un precedente giurisprudenziale in altri paesi. Nel mondo sono in corso molti procedimenti simili, uno di questi riguarda la Total accusata dall’associazione Notre Affaire à Tous di non decarbonizzare abbastanza rapidamente mancando di responsabilità sociale ed ambientale.
La sentenza inoltre pone altri tre punti. La condotta ambientale di un’azienda può essere messa sotto accusa? A quale livello legislativo e amministrativo spetta la gestione della salute pubblica? Un tribunale locale può imporre obblighi più stringenti di quelli decisi a livelli nazionali e transnazionali?
I livelli di competenza
Tale principio riguarda, ad esempio, i divieti del traffico. I Comuni, per evitare il superamento dei limiti di legge sul particolato presente nell’aria, bloccano veicoli omologati secondo normative nazionali ed europee. E a volte questi blocchi hanno riguardato veicoli nuovi, appena usciti dal concessionario.
Da tempo è stato sollecitato un quadro legislativo organico, per stabilire competenze e prerogative dei vari livelli amministrativi una volta per tutte. L’ambiente e la salute hanno bisogno di regole certe che disciplinino l’attività di imprese e cittadini affinché il futuro sostenibile sia costruito organicamente.
Gestire il cambiamento
La sentenza ripropone anche il confronto tra legge, realtà in cambiamento, progresso tecnico e attività d’impresa. Le leggi possono modificare e orientare le tecnologie e il modello di business delle imprese fino a comprometterne l’esistenza? I cittadini sono pronti a sacrificare i livelli occupazionali per la salute?
Domande che fanno parte del nostro tempo ed esigono risposte complesse. L’esperienza tuttavia dimostra che un equilibrio tra rispetto dei diritti, interesse economico, salute, ambiente e bisogni elementari delle persone è possibile. E che abbattere le emissioni di anidride carbonica è nell’interesse di tutti.
La velocità della transizione
Di sicuro è già in atto nell’economia una dinamica per la quale la tutela dell’ambiente è diventata un investimento conveniente. Le società dell’energia stanno già cavalcando la transizione tanto che la Shell possiede NewMotion una delle più grandi reti di ricarica (oltre 200mila punti) per auto elettriche e crede nell’idrogeno.
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Si tratta di fenomeni semplicemente impensabili fino a qualche anno fa. La sentenza dell’Aia sembra riconoscere che tutto questo avviene, ma troppo lentamente arrivando a giudicare anche le politiche aziendali messe in atto. Sarà dunque interessante vedere anche come si evolverà il dialogo tra le istituzioni e le imprese proprio su questo punto.