Togg-Togg! Anche la Turchia bussa all’auto elettrica e lo fa con la Togg, acronimo di Turkey’s Automobile Joint Venture Group Inc., società costituitasi il 25 giugno del 2018 tra Anadolu Grubu , BMC, Kök Grubu, Turkcell, Zorlu Holding e la TOBB ovvero l’unione delle camere di commercio della Turchia.
Più di una spinta
Un investimento di 22 miliardi di lire turche pari a 3,7 miliardi di euro e soprattutto la benedizione di Recep Tayyip Erdogan. Il presidente della Repubblica Turca, oltre a promuovere il progetto, ha promesso incentivi fiscali, prestiti a tassi agevolati e l’acquisto fino al 2035 di 30mila delle 175mila unità annue previste a regime. Altro incentivo è la concessione a titolo gratuito del terreno dove sorgerà lo stabilimento, presso Bursa, il principale polo industriale automotive turco.
Un prodotto al passo
Il primo modello è un Suv di segmento C con lo stile elaborato in Italia dalla Pininfarina. Erdogan ha già guidato il primo prototipo e si è fatto persino fotografare. L’auto nascerà su una piattaforma modulare, potrà avere 200 cv e la trazione posteriore o 400 cv con due motori e la trazione integrale. I sistemi di sicurezza per raggiungere le 5 stelle EuroNCAP e la guida autonoma anche oltre il livello 3. La batteria sarà di taglio vario con autonomia da 300 fino ad oltre 500 km.
Cinque modelli e 5mila assunti
Il piano industriale prevede 5 modelli da qui al 2030, l’assunzione diretta, da qui al 2035, di 5mila persone e la creazione di un indotto di altre 15mila persone con un impatto complessivo sul Pil per 50 miliardi di lire (circa 7,6 miliardi) e un miglioramento del saldo commerciale di 7 miliardi di euro. Il business plan prevede un ritorno annuo di 3,5 miliardi di lire turche ovvero oltre 500 milioni di euro.
Manager internazionali, board turco
L’amministratore delegato di TOGG è Mehmet Gürcan Karakaş, ex dirigente della Bosch, mentre il chief operating officer è Sergio Rocha, manager brasiliano con 37 anni di esperienza nel mondo tra Volkswagen, General Motor e altre iniziative automotive, start up comprese. Il consiglio di amministrazione comprende 11 membri, tutti turchi ed emanazione delle società costituenti.
Una dozzina di costruttori
Il progetto di un costruttore nazionale è un sogno che Erdogan caldeggia da 9 anni. Prima di costituire un consorzio fatto di attori interni, si era rivolto ai numerosi costruttori esteri presenti in Turchia. Tra questi, vi sono Fiat, Ford, Honda, Hyundai, Mercedes e Toyota. In tutto vi sono 12 costruttori, tra stranieri e locali che nel 2018 hanno sfornato un totale di 1,59 milioni di veicoli dei quali 1,03 sono automobili.
Mercato ed industria in calo
Il principale costruttore è Ford, ma delle 374mila unità prodotte, solo 23mila sono automobili. In questo campo specifico il numero 1 è Renault con 337mila unità, seguito da Toyota (257mila), Hyundai (203mila) e Tofaş (alias Fiat) con 168mila. Il dato globale parla di un calo del 9,2% e uno sfruttamento del 78% dell’intera capacità produttiva rispetto all’88% dell’anno precedente. In calo il mercato interno: nei primi 11 mesi sono state immatricolate 316mila automobili con una flessione del 37,4%.
Lo sguardo verso l’estero
Ne viene fuori un sistema orientato nettamente all’esportazione visto che 1,33 milioni di veicoli dei quali 876mila vetture partono per altri mercati, ma anche che è in crisi tanto che anche gli occupati sono scesi da 54.500 a 52mila. Gli unici indicatori positivi sono la crescita sia del valore prodotto, nonostante il calo dei volumi, sia degli investimenti: da 776 milioni di lire a 871 milioni nel 2018, anche se siamo lontani dagli 1,374 miliardi del 2014.
Fare grande la Turchia
La TOGG ha dunque più valori strategici per Erdogan e la Turchia. Il primo è valorizzare la filiera che si è prodotta con un prodotto a capitale e proprietà intellettuale turca orientandola verso il futuro, anche per gli altri costruttori. Il secondo è continuare a vendere auto alla UE, ma anche creare un mercato interno, per questo è in programma anche la costruzione di una infrastruttura di ricarica. Il terzo è prevalentemente politico e propagandistico spingendo il disegno neo-ottomano di un presidente che molti analisti chiamano oramai “sultano”.