A Londra Uber vuole rendere il servizio di corse a pagamento completamente elettrico entro il 2025.
Lo ha annunciato l’azienda di ride hailing capitanata da Dara Khosrowshahi che investirà nell’operazione 200 milioni di sterline grazie ad una struttura tariffaria diversa attraverso la quale il conducente-possessore dell’auto riceverà una maggiore remunerazione e avrà così il modo per coprire il maggiore costo d’acquisto dell’auto elettrica.
Nella corsa verso il futuro della mobilità a zero emissioni, non è affatto chiaro se a vincere saranno le aziende dei servizi, dotate di capitali immensi ma “volatili”, o case costruttrici che, oltre al “ferro”, hanno in alcuni casi una solidità finanziaria che permette loro di investire attingendo a risorse proprie.
E’ chiaro infatti che, al momento, le due entità nutrono un bisogno vicendevole, ma vogliono rimanere comunque padrone del loro destino e, soprattutto, dei loro clienti.
Rimane anche da vedere se i clienti di Uber accetteranno di pagare la “clean air fee”, così come chi acquisterà a acquisirà un’auto elettrica o ad idrogeno vorranno pagarla di più, sentendosi chiamati a partecipare ad una rivoluzione che al momento sembra obbligare necessariamente tutti ad un sacrificio economico immediato in vista di un bene superiore. Chi prenoterà un passaggio su un’auto elettrica della flotta Uber a Londra si vedrà infatti addebitato un “clean air fee” di 15 centesimi che, nei calcoli dell’azienda, frutterà ai singoli conducenti che si dedicano a questa attività per 40 ore a settimana, un introito aggiuntivo di 3mila sterline in 2 anni e di 4.500 in 3 anni.
Uber prevede che saranno già 20mila i driver a Londra (il 50% del totale) che passeranno all’elettrico entro il 2021 e che il processo di elettrificazione sarà completato entro il 2025. Tale transizione sarà spinta anche dalla Congestion Charge, in vigore a Londra dal 2003 e che dall’aprile del 2019 sarà ulteriormente inasprita per tutti i mezzi mossi da motore a combustione interna. Oltre infatti alle 11,5 sterline d’ordinanza, ci sarà un aggravio di 12,5 sterline all’interno della cosiddetta UZEV (Ultra Low Emission Zone) che interesserà dapprima il cuore della metropoli britannica per poi essere estesa nel 2021 alle North Circular e South Circular Road. La UZEV Charge sostituisce la T-Charge introdotta lo scorso anno e nata per ridurre il traffico dell’8-12%, le emissioni dei NOx del 50% e di quelle di CO2 del 20% da subito e del 45% nel 2020.
Khosrowshahi ha inoltre fatto sapere di aver avviato colloqui con molti costruttori di veicoli elettrici, così come Uber fa da tempo per tutte le proprie flotte indirette, e anche per aumentare l’infrastruttura di ricarica lasciando capire che la sua azienda potrebbe estendere il proprio raggio d’azione anche verso altri mezzi elettrici come le biciclette, che stanno vivendo un nuovo boom a Londra, ma anche gli scooter e i furgoni, un settore che è in piena esplosione con l’aumento esponenziale dell’e-commerce.
In questo lasso di tempo, almeno parte di queste auto elettriche potrebbero diventare autonome. Anche questo è un business tenuto ben presente da Uber e, anche se i collaudi sono stati interrotti dopo l’incidente avvenuto la scorsa estate in Arizona, Toyota ha investito 500 milioni di dollari nell’azienda di San Francisco proprio per l’auto che si guida da sola.
E proprio l’aspetto finanziario è una delle pentole in ebollizione per Uber per la quale si parla ormai insistentemente di quotazione in borsa con la consulenza di Goldman Sachs e Morgan Stanley e una valutazione che potrebbe raggiungere alla collocazione la cifra record di 120 miliardi di dollari, ovvero più di Apple e Amazon che, però, producono profitti da capogiro mentre l’azienda condotta da Khosrowshahi perde costantemente: ben 4,5 miliardi di dollari nel 2017 contro un fatturato di 7,5.
Il fenomeno non è nuovo (vd. Tesla), ma in questo caso c’è la vicinanza di Toyota e di altri investitori, tra cui la famiglia reale saudita che sarebbe il più grande stake holder con il 14% detenuto direttamente, attraverso il fondo sovrano e in quanto investitori della SoftBank, holding giapponese da oltre 86 miliardi di dollari di fatturato, che proprio nei giorni scorsi ha costituito con Toyota la joint-venture MONET (MObility NEtwork) per la creazione di una piattaforma di servizi avanzati di mobilità.
Resta da vedere quindi se, alla luce dei nuovi scenari, Toyota continuerà ad essere partner di Uber trasformando il proprio capitale in azioni, ed in questo caso diventerebbe il futuro fornitore numero uno di auto elettriche per i driver londinesi, oppure diventerà concorrente di Uber diventando anch’essa una mobility company, aspirazione condivisa dall’azienda di San Francisco ed espressa con la continua estensione dei servizi destinati ad abbracciare necessariamente l’elettrificazione, non solo per i mezzi dotati di ruote. Nel 2016 infatti Uber ha lanciato Elevate, progetto per lo sviluppo di mezzi volanti elettrici a decollo e atterraggio verticali che dovrebbero essere pronti per il 2020. E chissà che non siano proprio loro la prossima scelta dei driver londinesi di Uber.